LO SAI CHE...?!?
L’adozione è un fenomeno che coinvolge aspetti sociali, emotivi e legali. Essa concede l’opportunità a chiunque sia disposto a concedere amore, nei limiti stabiliti dalla legge, di creare legami familiari forti e duraturi che vadano oltre il mero legame biologico.
L’adozione è un istituto giuridico disciplinato a livello nazionale dalla legge 184/1983, modificata parzialmente dalla legge 149/2001. L’esigenza di regolamentare tale fenomeno deriva da una sempre più crescente esigenza di sentirsi genitore in uno stato che tutela, anche a livello costituzionale, l’istituzione della famiglia. Difatti, tale istituto trova applicazione all’interno del dettato costituzionale agli artt. 30, 31 e 32.
Nello specifico l’art. 29 recita che “La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Il matrimonio è ordinato sull'eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell'unità familiare”.
L’art. 30 rafforza il concetto di responsabilità genitoriale sancendo che “È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio. Nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti. La legge assicura ai figli nati fuori del matrimonio ogni tutela giuridica e sociale, compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima. La legge detta le norme e i limiti per la ricerca della paternità.
Per concludere, l’art. 31 dispone che “La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l'adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose. Protegge la maternità, l'infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo”.
Tali principi sono ripresi dalla suddetta legge, la quale all’art. 1 riprende tali principi affermando che “Il minore ha diritto di crescere ed essere educato nell'ambito della propria famiglia. Le condizioni di indigenza dei genitori o del genitore esercente la responsabilità genitoriale non possono essere di ostacolo all'esercizio del diritto del minore alla propria famiglia. A tal fine a favore della famiglia sono disposti interventi di sostegno e di aiuto. Lo Stato, le regioni e gli enti locali, nell'ambito delle proprie competenze, sostengono, con idonei interventi, nel rispetto della loro autonomia e nei limiti delle risorse finanziarie disponibili, i nuclei familiari a rischio, al fine di prevenire l'abbandono e di consentire al minore di essere educato nell'ambito della propria famiglia. Essi promuovono altresì iniziative di formazione dell'opinione pubblica sull'affidamento e l'adozione e di sostegno all'attività delle comunità di tipo familiare, organizzano corsi di preparazione ed aggiornamento professionale degli operatori sociali nonché incontri di formazione e preparazione per le famiglie e le persone che intendono avere in affidamento o in adozione minori. I medesimi enti possono stipulare convenzioni con enti o associazioni senza fini di lucro che operano nel campo della tutela dei minori e delle famiglie per la realizzazione delle attività di cui al presente comma. Quando la famiglia non è in grado di provvedere alla crescita e all'eduzione del minore, si applicano gli istituti di cui alla presente legge. Il diritto del minore a vivere, crescere ed essere educato nell'ambito di una famiglia è assicurato senza distinzione di sesso, di etnia, di età, di lingua, di religione e nel rispetto della identità culturale del minore e comunque non in contrasto con i principi fondamentali dell'ordinamento.
Fatte tali premesse necessarie è opportuno chiedersi come funzioni la procedura di adozione e quali siano i requisiti soggettivi richiesti ai soggetti che vogliano accedere a tale iter.
L'art. 6 della Legge n. 184/83 stabilisce che l’adozione è consentita a coniugi uniti in matrimonio da almeno tre anni, o per un numero inferiore di anni se i coniugi abbiano convissuto in modo stabile e continuativo prima del matrimonio per un periodo di tre anni, e ciò sia accertato dal Tribunale per i minorenni.
Tra i coniugi non deve sussistere e non deve avere avuto luogo negli ultimi tre anni separazione personale neppure di fatto.
L’ età degli adottanti deve superare di almeno diciotto e di non più di quarantacinque anni l’età dell’adottando, con la possibilità di deroga in caso di danno grave per il minore. Tale limite è derogato se i coniugi adottano due o più fratelli, ed ancora se hanno un figlio minorenne naturale o adottivo.
Si ritiene tuttavia necessaria una verifica preliminare espletata dai Tribunali per i minorenni e realizzata tramite servizi socio-assistenziali che valuti nel merito l’idoneità degli aspiranti genitori adottivi ad educare, istruire e mantenere i figli.
In conclusione, l’adozione rappresenta uno strumento fortemente inclusivo che promuove l’uguaglianza tra i componenti familiari, seppur provenienti da luoghi e contesti culturali differenti.
La cucina pugliese è senza dubbio una delle cucine più buone d’Italia, ricca di tanti gusti e ingredienti diversi e fantasiosi e durante il periodo natalizio “sforna” tantissimi dolci golosi. Vediamo insieme quali sono i dolci tradizionali soprattutto della nostra provincia foggiana:
Cartellate
Le cartellate in dialetto foggiano “cartellt” sono un dolce tipico friabile e croccante della tradizione natalizia del foggiano e del Gargano. Le cartellate sono dolci preparati con un impasto di farina, olio, vino bianco, sale e acqua. L’impasto è poi steso con il matterello sulla spianatoia e tagliato a striscioline con la rotella dentata. Ogni striscia si arrotola a spirale pizzicandola con le dita per creare la classica forma a rosa. In seguito si friggono in abbondante olio d’oliva bollente.
Per condire le cartellate c’è chi preferisce usare il vincotto di mosto o di fichi, chi invece il miele. Il tocco finale è dato dai granellini di zucchero colorati o dalla granella di nocciole, mandorle oppure di cioccolato.
Mostaccioli
I mostaccioli sono dolci tipici pugliesi preparati nel periodo di Natale. Si tratta di biscotti morbidi dal sapore molto speziato che di solito hanno la forma di rombo e un colore scuro perché nell’impasto viene utilizzato il vin cotto. C’è chi per rendere i mostaccioli ancora più golosi preferisce glassarli con il cioccolato fondente, altrimenti sono ugualmente buoni anche senza la glassa.
Mandorle atterrate
Altri dolci natalizi pugliesi sono anche le “mandorle atterrate” che non sono altro che mandorle intere tostale e ricoperte di cioccolato fondente, al latte oppure bianco, molo semplici ma super golose.
Calzoncelli
I calzoncelli invece sono delle piccole mezzelune ripiene di marmellata di fichi, crema alla nocciola o mostarda.
Pasticciotti pugliesi
I pasticciotti sono un dolce pugliese fatto di pasta frolla con un ripieno di crema originario di Lecce. Il pasticciotto leccese è composto da un guscio esterno di pasta frolla croccante e un cuore goloso di crema pasticcera. A rendere particolarmente friabile la pasta frolla come prevede la ricetta tradizionale è lo strutto. Questo dolce pugliese è perfetto non solo durante le feste ma in qualsiasi periodo dell’anno.
Ferri di cavallo
I frollini a ferro di cavallo sono golosi biscottini di pasta frolla glassati per metà con cioccolato fuso. Un dolce dal sapore delicato fatto in maniera artigianale con ingredienti locali e di qualità. Golosi e fragranti biscotti da gustare accompagnati da un buon thè aromatico.
Tette delle monache
Un leggero pan di spagna, farcito con una golosa crema chantilly. Si dice che il nome derivi dalla forma stessa di questo dolce, ma esistono varie leggende a riguardo. Fino a poco tempo fa ad Altamura, città natale delle tette delle monache, la ricetta e la produzione era custodita gelosamente dalle Monache del monastero di Santa Chiara, che preparavano all’interno del monastero questi tipici dolcetti oltre ai tradizionali dolci in pasta di mandorla. La bontà di questo dolce sta nella preparazione, rigorosamente manuale e dalle materie prime di alta qualità, che formano un impasto sofficissimo dalla consistenza unica. E’ possibile acquistarli anche in altre varianti, con ripieno al pistacchio, cioccolato, nocciola e caffè.
Taralli pugliesi
Nacque probabilmente agli inizi del 1400, un prodotto povero e semplice che veniva preparato nelle case contadine ed offerto agli ospiti assieme a un bicchiere di vino.
Il tarallo ha avuto un tale successo in Italia e all’estero da diventare un vero e pr
Deliziosi e friabili i taralli all’uovo, sono uno dei prodotti rappresentativi della Puglia, tipici del periodo pasquale. Un goloso e buonissimo dolce, perfetto da gustare durante le feste e richiesto in qualsiasi periodo dell’anno. I taralli all’uovo, sono fatti interamente a mano e cotti in forno a legna da produttori artigianali pugliesi, che utilizzano materie prime di alta qualità e seguono i processi di lavorazione tradizionale, con ricetta tipica della Puglia. Sono una vera bontà, in ogni sua variante, ottimi per uno spuntino croccante. Una variante dei taralli classici all’uovo, sono i tipici taralli zuccherati, arricchiti da una glassa di zucchero (scèleppe), una vera delizia che si scioglierà in bocca. Li troviamo anche nella versione al primitivo, con zenzero e cannella e al vino bianco, queste varianti non hanno uova tra gli ingredienti.
oprio prodotto tipico e recentemente ha conquistato la denominazione PAT, Prodotto Agroalimentare Tradizionale italiano.
‹‹Una generazione che non riesce a tollerare la noia è una generazione di uomini piccoli, nei quali ogni impulso vitale appassisce››.
Con l’arrivo dell’estate e la chiusura delle scuole diventa sempre più difficile intrattenere i bambini, evitando lunghi pomeriggi ipnotizzanti davanti alla tv, alla play station o al cellulare. Specie se le tendenze del momento impongono ritmi serrati e spazi traboccanti di attività, in una continua staffetta tra calcio, danza, musica, doposcuola e piscina, corsi di potenziamento e PON pomeridiani. Come possono le famiglie pensare di sostituire questi formidabili tappabuchi? Cresce così il malcontento e la frustrazione di genitori che, ancora impegnati a lavoro e costretti in città, faticano ad organizzare la routine quotidiana dei loro piccoli, abbagliati come sono dal miraggio della “vita piena”: vita piena di cose da fare; satolla di obiettivi e progetti da realizzare. L’imperativo del tutto va inseguito ad ogni costo, pena la costante convinzione di aver perso tempo, di aver fallito nel proprio compito educativo e aver cresciuto una generazione imperfetta e arrendevole.
Ma forse ciò che tanto temiamo è proprio ciò che rischiamo di ottenere. Compattiamo la vita dei nostri figli in un tempo mai libero alla noia e all’ozio, nel timore che possa rivelarsi vuota, e cadiamo così in una grande menzogna: non possono esserci spazi pieni senza tempi morti; non si può riempire uno spazio già saturo. Al contrario, il tempo libero, inteso come tempo libero dagli stimoli, dagli oggetti e dalle occupazioni, è il tempo per meravigliarsi, per riflettere, per divagare, per pensare a chi siamo e cosa ci piace fare. Soprattutto per i bambini, il tempo “libero” diventa un’occasione per crescere, per esplorare le proprie motivazioni e la propria mente, per sviluppare competenze sociali e cognitive che non sempre necessitano di strumenti ausiliari. Siamo arrivati a pensare che per giocare a cucinare il bambino abbia bisogno di un set di pentole uguale a quello di mamma e papà ma non è così; i bambini si divertono a cucinare anche usando sassi e bastoni come posate, realizzando favolosi brodi di pigne e insalate di fiori di campo. Bisogna dar loro la materia grezza affinché possano creare con le loro mani e stupirsi di ciò che possono fare da soli.
Insegnare il valore del tempo passato ad annoiarsi non significa, naturalmente, lasciare ai nostri figli le redine delle loro giornate estive: mantenere delle piccole routine quotidiane è di per sé funzionale e rassicurante; il trucco sta nell’essere flessibili e tenere a bada la frenesia del “dover fare sempre qualcosa”. Come? Pensando ad esempio a spazi di gioco condivisi con i nostri figli, intervallati da momenti meno strutturati, che permettano ai bambini di esperire una sana noia.
Potrebbe essere utile, a tal proposito, realizzare un cartellone dell’estate con 3 finestre: una finalizzata ad accogliere una proposta di attività del genitore; una riservata al bambino e una finestrella libera da concedere alla noia, che il bambino potrà o meno riempire come meglio crede, anche restando sdraiato a terra, con i pensieri a ciondoli, o semplicemente guardando le nuvole fuori dalla finestra, per inventare storie e allenare l’immaginazione.
Facciamogli scegliere le attività e quando possiamo giochiamo con loro! Leggere, disegnare, costruire oggetti con materiali da riciclo; fare una passeggiata o diventare “turisti” nella propria città, scoprendo luoghi mai visitati; ma anche allestire un pic-nic su balcone con annessa preparazione merenda, dedicarsi al giardinaggio e all’ orto all’aria aperta sono tutte attività che aiutano i bambini a riscoprire la genuinità delle piccole cose; l’importanza del prendersi cura, i valori dell’attesa e della pazienza, della costanza e dell’impegno.
La creatività non è altro che la capacità cognitiva di trovare soluzioni nuove e originali, perciò non crucciatevi troppo per ciò che i vostri figli dovrebbero fare o per cosa dovrebbero diventare. Non temete possano perder tempo o sprecarne troppo….la noia è il carburante della fantasia e i vuoti vanno mantenuti perché è nello spazio mancante, è nell’interstizio che si insinua il desiderio, la creatività e l’ingegno!
Buone vacanze!
Le grida d’aiuto silenziose dei ragazzi non sono ascoltate.
È accaduto di nuovo! Lo scorso 18 settembre un giovane studente di 13 anni si è tolto la vita in provincia di Monza e della Brianza. Secondo gli inquirenti anche questa volta il grido disperato di chi soffre in silenzio è terminato con un atto estremo.
Il ragazzo si era da poco iscritto al primo anno di liceo dell’Istituto Frisi. Il dirigente scolastico, Lucia Castellana su ilcittadinomb.it dichiara - «vogliamo restituire un po’ di serenità ai nostri ragazzi, dopo due anni di pandemia, ma siamo stati investiti da questo lutto che ci lascia esterrefatti». La stessa dirigente precisa che con un gruppo di docenti e genitori aveva lanciato un'iniziativa di sensibilizzazione volta a ricreare e riportare nelle aule un clima di serenità e fiducia; serenità che l’istituto aveva perso poco prima dello scoppio della pandemia, quando altri due giovani studenti, a distanza di poche settimane, si erano tolti la vita. Questa notizia è solo la punta di un enorme iceberg; infatti se consideriamo soltanto gli ultimi mesi dello scorso anno accademico,1 alunno su 5 afferma di aver subìto almeno una pressione da parte di coetanei. A segnalarlo è l'Osservatorio "Bullismo e Cyberbullismo", condotto da Skuola.net in collaborazione con Citroën Italia, intervistando 3.000 ragazze e ragazzi tra gli 11 e i 19 anni nell’ambito del progetto “RispettAMI”. L’obiettivo della ricerca è stato quello di tracciare un bilancio al termine del primo anno di ritorno in classe, essendo proprio la scuola l’ambiente dove è più frequente che insorga il disagio adolescenziale. Purtroppo, anche solo considerando l’ultimo trimestre di lezioni, il 13% degli adolescenti intervistati ha “denunciato” di essere stato vittima di episodi occasionali, mentre per il 7% si è trattato di vessazioni sistematiche. Sono matrici di bullismo che si concentrano soprattutto su tre grandi macro-aree: l’aspetto, l’identità sessuale, l’etnia o l’origine.
I nostri adolescenti continuano a essere piegati dal bullismo che sì, è sempre esistito, ma che attraverso la dimensione digitale, in cui noi tutti siamo immersi, riesce a essere ancora più “efficace”. La scuola, luogo dove nascono le relazioni tra pari, è sicuramente uno degli ambienti in cui è più probabile che nascano fenomeni di questo tipo .Ma è pur vero che la scuola rappresenta allo stesso tempo il luogo in cui possono essere debellati, purché studenti e docenti ricevano una costante formazione in tal senso.
Promuovere attivamente, nelle scuole e fra gli studenti, la cultura del rispetto come strumento di contrasto ai fenomeni considerati a rischio è alla base del Centro Famiglie San Riccardo Pampuri, che rivolge particolare attenzione ai giovani e al loro contesto relazionale, considerando che la pandemia e le limitazioni sociali connesse al Covid-19 hanno esacerbato il ritiro dei ragazzi dietro lo schermo, innalzando (come si è descritto) i numeri del disagio adolescenziale, con un’amplificazione dei fenomeni connessi alle new addiction, ai disturbi alimentari e alle condotte audio lesive. Tali considerazioni hanno indotto il Centro Famiglie a potenziare i servizi per gli adolescenti, promuovendo negli istituti foggiani interventi di Mediazione scolastica, un metodo comunicativo alternativo finalizzato a risolvere conflitti nel contesto scolastico. Le valutazioni effettuate dalle scuole che già da anni hanno applicato questo procedimento indicano tra gli aspetti positivi il creare a scuola un ambiente più rilassato e produttivo, il contribuire a migliorare le relazioni intrapersonali e interpersonali, il favorire la risoluzione di controversie in modo più rapido e meno costoso, il favorire l’autoregolazione attraverso la ricerca di soluzioni autonome e negoziate.
Il progetto nell'ambito scolastico si potrà articolare o nella realizzazione di uno sportello di mediazione scolastica volto alla gestione dei conflitti interni tra tutte le componenti della compagine scolastica (studenti, docenti, genitori, ecc.), oltre ad interventi mirati per situazioni di conflitto urgenti ed indifferibili segnalate al Centro Famiglie, dal corpo docente e/o dalla direzione didattica; o in attività di docenza sui temi della comunicazione rivolte agli alunni, coadiuvate dall' osservazione delle dinamiche relazionali all'interno di ciascun gruppo classe.
La mediazione familiare è un percorso per la riorganizzazione delle relazioni familiari in vista o in seguito alla separazione o al divorzio, anche per le coppie di fatto con figli. In un contesto strutturato il mediatore, come terzo neutrale e con formazione specifica, sollecitato dalle parti, nella garanzia del segreto professionale e in autonomia dall’ambito giudiziario, si adopera affinché i mediandi elaborino in prima persona un programma di separazione che tenga conto dei bisogni di tutti i membri della famiglia, in primis i figli, una ristrutturazione delle dinamiche relazionali in cui poter esercitare la comune responsabilità genitoriale. Un viaggio nella relazione in grado di aiutare la coppia ad affrontare e ad elaborare la decisione di un cambiamento nella progettualità di vita, passando dalla coppia coniugale alla coppia genitoriale, consapevolezza fondamentale soprattutto quando la famiglia è caratterizzata da una compagine con figli, attraverso la promozione del la cooperazione e abbandonando la competizione. Un percorso che si propone di trasformare il conflitto distruttivo in nuove risorse costruttive, contribuendo a promuovere una cultura della separazione come opportunità per nuovi progetti di vita, pur nella continuità e stabilità dell’adempimento delle funzioni genitoriali.
In ogni caso la separazione della coppia coniugale ha effetti destabilizzanti su tutti i membri della famiglia: mentre la coppia che si separa è alle prese con rancori, delusioni e conflitti, i figli sono spesso soli, a tentare di comprendere cosa sta accadendo, alcune volte attribuendosene impropriamente “la colpa”.
Le difficoltà dei figli sono date proprio dall’instabilità familiare e dall’alta conflittualità tra i genitori. Gli effetti sui figli non sono una conseguenza diretta dell’evento separazione, ma un prodotto di un insieme di eventi, sociali, economici, legali, psicologici e relazionali che si protraggono nel tempo e che possono amplificare lo stress legato alla separazione.
Le indagini sull’influenza negativa sui figli hanno cercato di indagare se fosse la separazione in sé a creare difficoltà nei figli o se fosse il disaccordo tra i coniugi; tali indagini hanno mostrato che è il conflitto a determinare problemi emotivi e comportamentali nei figli.
L’incidenza di disturbi importanti e persistenti nei figli di separati è bassa, ma quando questo accade si rileva sempre una problematica irrisolta a carico della coppia che si è “separata male”.
La fantasia di riconciliazione può persistere a lungo nei figli, nella misura in cui i genitori non li hanno aiutati ad accettare la realtà. La capacità dei figli di adattarsi alla nuova situazione dipenderà dal grado di maturazione dei genitori e dalla loro capacità di collaborare.
L’attenzione prestata al tema del conflitto è orientata dal presupposto che sia il conflitto esistente tra i genitori prima, durante e dopo la separazione a determinare le conseguenze positive o negative della separazione sui figli, piuttosto che la separazione intesa come evento patogeno.
La separazione dei genitori rappresenta per il figlio un evento critico e non normativo, in quanto comporta l’inevitabile trasformazione del rapporto con le figure di riferimento e, di conseguenza, la necessità di una rivisitazione delle immagini genitoriali e di una loro nuova collocazione nella relazione.
Il percorso di mediazione risulta efficace nella gestione del conflitto e nella trasformazione dello stesso in un’occasione di confronto, abbandonando lo scontro. Il mediatore familiare, un terzo neutrale che si pone in una posizione di equiprossimità, in assenza di pregiudizi e giudizi, funge da facilitatore della comunicazione tra i mediandi, divenendo metaforicamente un “ponte” di collegamento tra i medesimi attraverso la decodificazione dei linguaggi delle parti (verbale, non verbale e paraverbale), consentendo loro di aprire un “nuovo varco” alla comprensione reciproca, mettendo al centro della relazione l’interesse e il benessere dei figli, coinvolti loro malgrado, spesso attivamente, nel conflitto genitoriale.
Risulta di tutta evidenza attuare un processo di consapevolezza nei mediandi che, da coniugi in crisi fino al punto da voler interrompere la relazione, dovranno attivarsi in prima persona per creare un nuovo assetto relazionale che da coniugi-genitori, li trasformi in coppia genitoriale, coppia che non potrà mai divorziare nel senso pieno del termine, dovendo mantenere una forma di rapporto personale ed evitare che il conflitto coniugale invada l’area genitoriale. Per evitare eccessivi effetti negativi sui figli è necessario rinegoziare la relazione genitoriale, un atto di cui la coppia deve assumersi la responsabilità, instaurando rapporti reciproci, in modo che i figli non vengano implicati nei loro dissidi e siano liberi di mantenere un rapporto profondo con entrambi.
La mediazione familiare è nata negli Stati Uniti negli anni Settanta e si è andata rapidamente diffondendo nei paesi anglosassoni e in quelli francofoni. La mediazione viene introdotta in Italia, ispirandosi al modello francese, qualche anno dopo rispetto ad altri Paesi, come conseguenza della sempre maggiore diffusione di modelli familiari nuovi, tuttavia la cultura della mediazione familiare non risulta ancora pienamente diffusa, probabilmente anche a causa di una inadeguata informazione culturale da parte delle istituzioni.
La mediazione familiare è un percorso negoziale, non terapeutico, perché si propone di affrontare gli eventuali problemi concreti che nascono intorno alla divisione dei beni, all’affidamento dei minori e alla loro educazione, all’assegnazione della casa coniugale.
Questa pratica facilita il ripristino della comunicazione rimuovendo gli ostacoli e le difficoltà, ampliando la rosa di opzioni fruibili, fornisce uno schema alternativo di risoluzione delle controversie, riafferma le responsabilità e i ruoli genitoriali cercando di escludere le dinamiche strettamente legate ai ruoli della coppia coniugale.
Chi attua la mediazione familiare invita gli ex coniugi a riappropriarsi del ruolo decisionale di genitori, offrendo loro una situazione di ascolto, di dialogo, di negoziazione con l’obiettivo di trovare un accordo sull’organizzazione della loro vita futura.
In questo tipo di intervento il mediatore entra a far parte della relazione tra le due parti in conflitto, lasciando che siano le stesse a portare avanti il processo decisionale fino alla comprensione dei reciproci bisogni e giungere ad un accordo sentito come realmente voluto, attuabile e mutuabile, anziché delegare ad un terzo in sede giudiziale.
La negoziazione avviene su contenuti specifici formulati in modo preciso e attento, cominciando dai problemi meno gravi per finire con quelli più difficili, al fine di consolidare un clima di fiducia attraverso qualche piccolo successo iniziale. Si cerca di definire molto concretamente i problemi, di promuovere atteggiamenti favorevoli alla risoluzione dei problemi stessi, valutando e scegliendo le possibili soluzioni su cui tentare di arrivare a fissare i termini e le condizioni di un accordo informale che, se necessario, verrà redatto in termini legali dai rispettivi avvocati.
In genere, le aree della controversia riguardano l’affidamento dei figli e i modelli educativi, l’impegno e la responsabilità che ognuno può prendersi per educarli e mantenerli, la gestione delle risorse economiche e materiali.
Molto importante risulta dare rilievo alla capacità di ciascun coniuge di fare progetti per il proprio futuro, necessari a distogliere la persona dalla rigidità conflittuale, lavorando sul recupero di risorse personali, perseguendo un benessere dell’individuo, necessario per l’assunzione delle responsabilità e dei compiti genitoriali. Anche se le emozioni, i sentimenti, le personalità non diventano l’oggetto principale del lavoro, essi devono comunque essere considerati per il peso che possono avere nella formulazione di accordi e nella realizzazione del progetto.
Vanno quindi valorizzati funzioni e ruoli diversi, sottolineando l’importanza della relazione tra il ruolo materno e quello paterno: questa può essere l’occasione per distinguere, forse per la prima volta, il ruolo coniugale e quello genitoriale, che spesso si sovrappongono piuttosto che procedere paralleli. Si arrivano a distinguere le realtà individuali, coniugali, genitoriali. Da questa chiarezza di solito emerge la figura del figlio in precedenza nascosta dalle difficoltà degli adulti, giungendo finalmente a considerarlo come individuo e riconoscere i suoi reali bisogni.
Sulla base di queste premesse, la separazione e il divorzio, per quanto dolorosi, possono essere vissuti non come la fine totale, ma come l’inizio di una nuova storia, forse più complicata, più difficile, ma possibile.